GROTTE VULCANICHE DI SICILIA
Fabio Brunelli e Blasco Scammacca, 1975

2. Cenni storici

Nella letteratura che può interessare lo speleologo non mancano i riferimenti a grotte vulcaniche; a volte si tratta di semplici nomi, cui non abbiamo potuto riferire alcuna cavità a noi nota, altre volte si tratta di cavità realmente esistite e andate successivamente distrutte, infine vi sono citazioni sicuramente attribuibili a cavità note e pertanto comprese nel nostro elenco; in questo caso, nel presente capitolo ad ogni citazione facciamo seguire la sigla catastale della grotta.

Ricordiamo che col nome di caverna gli antichi designavano non solo le cavità oggetto della speleologia, ma anche la voragine del cratere centrale dell'Etna, le bocche erutive che si aprono sulle pendici del vulcano, le cavità crateriche dei numerosissimi coni secondari, nonchè cavità immaginarie situate all'interno del vulcano. Nel presente lavoro si tiene conto soltanto delle citazioni relative a caverne intese in senso speleologico, cioè suscettibili di esplorazioni.

Per ogni grotta riportiamo qui generalmente soltanto la citazione più antica, rimandando per le successive alle bibliografie delle singole cavità.

Riteniamo di dover riconoscere quale primo speleologo dell'Etna Anton Giulio de Amodeo, detto il Filoteo, di Castiglione di Sicilia, il quale nella sua Topographia del 1591 accenna a un gran numero di grotte di svariate dimensioni situate nel versante nord dell'Etna. Di alcune egli ci tramanda il nome: Grotte dell'Olmo, Grotta della Colletta, Grotta della Palomba. Di altre ci dà anche una descrizione: una è sita in località Baracca vecchia, l'altra presso Monte Dolce; solo quest'ultima è stata da noi identificaa con sufficiente certezza nella grotta oggi conosciuta col nome di Riconco di Monte Dolce (SiCT110). E' invece dubbia l'identificazione della grotta delle Palombe con la Grotta delle Palombe di Castiglione di Sicilia (SiCT047).

Pietro Carrera (1636) cita la Grotta nuova presso Monte Serra Pizzuta Calverina, scoperta nel 1934, che va identificata, come già rilevato da Gurrieri (1933) con il complesso di cavità oggi più note col nome di Grotte di Casa del Vescovo (SiCT043). L'autore cita ancora la Grotta della Neve, situata a ovest della precedente, probabilmente sepolta dalle lave del 1766; cita inoltre una grotta scoperta dagli abitanti di Pedara e distrutta dall'eruzione del 1634-36; e ancora la Grotta dei Santi e la Grotta di San Leo a noi non note probabilmente distrutte. Sempre Carrera (1639) parla di una Grotta di Proserpina sita in contrada Licatìa a nord di Catania, dove rievevano salute, per grazia della ninfa, i pazzi che vi passassero la notte dormendo.

Un anonimo del secolo XVII (in Recupero (1815)), nel descrivere l'eruzione del 1634-36, parla di una Grotta dell'Acqua, presso Monte Salto del Cane, che verosimilmente andò distrutta durante quell'eruzione.

Attanasio Kircher
da Wikipedia

Attanasio Kircher (1678) dice di aver visto una grotta capace di contenere trentamila persone e menziona una Grotta delle Palomba, forse la stessa del Filoteo.

Il gesuita Giovanni Andrea Massa (1709) ci dà notizia di diverse grotte litorali situate fra Catania e Stazzo.

Patrick Brydone (1773) oltre a citare la Grotta delle Palombe di Nicolosi (SiCT003), descrive la Spelonca del Capriolo che gli offrì ricovero per la notte in occasione della sua ascensione all'Etna (vedi la Grotta dei Faggi, SiCT011).

Franceco Ferrara (1793) fa menzione della Grotta di San Giovanni Galermo (SiCT027) e della Grotta dell'Acqua Nuova, sepolta dalle lave del 1792.

L'opera postuma di Giuseppe Recupero (1815), curata dal nipote Agatino, contiene notizie relative alle seguenti cavità: La Grotta di Paternò, la Grotta dell'Orba, la Grotta Guardiula, tutte neviere [1] rimaste sepolte dalle lave del 1766. Analoga sorte toccò alla Grotta del Manganello (SiCT139†) di cui l'autore dice: «… la perdita di questa grotta recò dispiacere a tutti quei che l'avevan veduta, e non poco detrimento alla mensa vescovile di Catana per averle mancato un riposto così abbondante, che una sola volta si sa di esser terminata la neve ai tempi del vescovo Cienfuegos. Era questa grotta antico lavoro dei fuochi sotterrenei, in cui persistevano tre gallerie ed altre tre ne corrispondevano sotto le prime. Passandosi dal primo nel secondo piano vi si trovava una inesauribile quantità di ghiacci che erano il prodotto degli scoli delle nevi dei piani superiori formati alla maniera di stalattiti. Cento e mille bizzarri e curiosi lavori vi si scorgevano, come delle grandi cortine tutte arricciate in aria; la volta e le mura erano incrostate come di tanti specchi posti l'uno sopra l'altro; eranvi grosse colonne, ed in alcuni angoli mucchi di ghiaccio …» Lo stesso autore accenne inoltra ad una Grotta Colomba, da noi non ritrovata, che riteniamo sepolta da quelle stesse lave del 1766 o da successive. Egli visitò la Grotta delle Palombe di Nicolosi (SiCT003) fino alla sommità del pozzo di diciassette metri ancora prima della nota esplorazione di Mario Gemmellaro. Descrizioni di questa cavità si hanno per mano dello stesso autore e nelle Annotazioni redatte dal nipote Agatino. Nelle Annotazioni è anche citata la Grotta del Bue (SiCT050). Infine nella Carta oryctografica di Mongibello che è acclusa al primo volume dell'opera, sono localizzatele seguenti cavità: La Grotta dei Santi sopra Monte Parmentelli, la stessa citata da Carrera (1636) e probabilmente distrutta dall'eruzione del 1780; le Grotte di Paternò, a levante della precedente, le Grotte di Catania, poco a nord di Serra Pizzuta Calvarina, che vanno identificate con la Grotta Nuova di Carrera, e, sul versante nord è indicata la Grotta di Randazzo che va forse identificata con la Grotta del Burrò (SiCT024).

La grotta nelle lave del 1669, descritta da Roberto Sava (1884), non è stata da noi identificata con certezza: non escludiamo tuttavia che si possa trattare di una delle cavità studiate da Gurrieri (1933).

Carlo Gemmellaro (1843) nomina diverse grotte: le Grotte nelle lave del Borgo e Monserrato e quelle nelle chiuse della Carvana sono state coperte dall'estendersi della città di Catania ad eccezione della Grotta dell'Oliveto Scammacca (SiCT001). La grotta in contrada Malaterra (Bosco di Adrano) e quelle nelle antiche lave di Linguaglossa non sono state da noi ritrovate. In un altro lavoro (1884) lo stesso autore descrive la Grotta di Scilà (SiCT025). Nella sua Vulcanologia dell'Etna (1858) cita la Grotta degli Inglesi senza darne l'ubicazione. Dal contesto si può tuttavia desumere che essa si trovasse sul versante sud dell'Etna all'altezza di Monte Vetore, zona oggi in gran parte occupata da lave recenti. In questa stessa opera è contenuto il resoconto della famosa esplorazione fatta dal fratello Mario nella Grotta delle alombe di Nicolosi (SiCT003) ed è decritta la Grotta delle Palombe di Santa Maria la Scala (SiCT133†).

Wolfang Sartorius dedicò molti anni della sua vita allo studio dell'Etna dandocene nel suo lavoro del 1880 una minuziosa descrizione e citando numerose grotte: La Grotta degli Archi (SiCT005), la Grotta dell'Intralìo (SiCT007), la Grotta lunga (SiCT029), le Bocche Vetuddi superiori ove trovasi il Pozzo di Monte Vetuddi superiore (SiCT061), i Due Pizzi dove si aprono il Pozzo del Monte Due Pizzi inferiore I (SiCT086) e II (SiCT087). Inoltre cita una serie di grotte da noi non ancora rinvenute: la Grotta delle Palombe facente parte dell'apparato eruttivo del 1381 sita tra Torre del Grifo e Nicolosi, la piccola Grotta nel cratere di Monte Pomiciaro in comune di Randazzo, la Grotta 'a Candara sotto Monte Rosso di Fleri, la Grotta del Carambo presso Monte Monaco di Zafferana, la Grotta del Vallone di San Giacomo in comune di Zafferana, distrutta dal terremoto del 1850 (Sartorius, 1880, vol. I, tav. di p.176 e vol. II, p.272). L'autore ha visitato la Grotta delle Palombe di Nicolosi (SiCT003), ne ha fatto una minuziosa descrizione e ne ha pubblicato una sezione longitudinale fino al punto raggiunto da Mario Gemmellaro. Alla fine del primo volume (ibidem) è pubblicato il Giornale dell'eruzione dell'Etna del 1766, scritto da Raimondo Gemmellaro, nel quale è narrata con dovizia di particolari la distruzione della Grotta Grande di Paternò, dell'Orba, del Manganello, dell'Acqua, della Grotta Grande di Catania e del Grottone.

Federico De Roberto
da Wikipedia

Federico de Roberto, in un articolo apparso sul Fanfulla nel 1881, descrive la Grotta delle Palombe di Santa Maria la Scala (SiCT133†) dopo i danni provocati da una mareggiata.

In Salvatore Spinelli (1887) trovasi citata la Grotta del Fracasso in territorio di Paternò che egli dice essere la famosa Grotta di Talìa di cui parla Giovanni Boccaccio (1359) e nella quale si sentirebbe «… il fragore delle acque sotterranee prodotte dal disciogliersi delle nevi dellEtna …». Resta ancora da stabilire se il mito della ninfa sia connesso a una cavità reale.

Paolo Orsi
da Wikipedia

Paolo Orsi (1898 e 1914) visitò e descrisse accuratamente, disegnandone anche la topografia, diverse grotte situate nel quartiere di Barriera, a nord di Catania. Queste grotte sono oggi quasi tutte scomparse in seguito alla costruzione di nuovi edifici, ma saranno inserite in catasto, come è indicato nel nostro piano di lavoro.

In Vinassa de Regny e altri (1912) trovasi la descrizione di una grotta foratasi nell'apparato eruttivo del 1910 (SiCT135).

Gaetano Ponte (1814) cita la Grotta d'Angela (SiCT039), ed in un successivo lavoro (1922) la Grotta delle Palombe presso San Pietro Clarenza (SiCT092), la Grotta del Signore (SiCT125), La Grotta Sgangheri (SiCT057), la Grotta delle Campane (SiCT094), tutte cavità già menzionate nella tesi di laurea di Giovanni Gurrieri.

Il salesiano Domenico Andronico (1930) menziona la Grotta del Burrò (SiCT024) ed accenna all'esistenza di diverse grotte tra il paese di San Gregorio e quello di Ficarazzi. Effettivamente in questa zona ne abbiamo visitato diverse: (SiCT015), (SiCT016), (SiCT020), (SiCT021), (SiCT022), (SiCT081), (SiCT082), (SiCT097), (SiCT099), (SiCT100), (SiCT143), (SiCT144), (SiCT147).

Giovanni Gurrieri nel 1933 riprende l'argomento della sua tesi di laurea citando due nuove grotte: la Grotta Marrano (SiCT027) e la Grotta del Menzagno (SiCT126).

Il primo ad impostare uno studio sistematico delle grotte dell'Etna è stato Francesco Miceli che per più di trenta anni ha dedicato parte del suo tempo a perlustrare tutti i versanti della montagna. In un suo articolo del 1933 troviamo citati il Pozzo di Monte Sivestri inferiore (SiCT002), l Grotta delle Femmine (SiCT046), la Grotta delle Palombe di Castiglione di Sicilia (SiCT047), due Grotte delle Vanelle (Grotta delle Vanelle (SiCT048) e Grotta delle Vanette (SiCT049)), la Grotta del Brigante ad Adrano (SiCT151), nonchè l'Antro della Focuzza e la Grotta dell'Apparato eruttivo del 1852, a noi non note. Nel quadro delle sue ricerche speleologiche Miceli (1954-55) ha curato la stesura di relazioni informative sulla Grotta degli Archi (SiCT011), Grotta del Dicco (SiCT023), Grotta della Montagnola (SiCT006), Grotta di Novalucello I (SiCT008), Grotta Santa Barbara (SiCT009), Grotta dei Monti Calcarazzi (SiCT010), Grotta dei Faggi (SiCT011), Grota di Pitagora (SiCT012). Dobbiamo allo stesso autore sia una interessante precisazione (1954) sulla confusione insorta fra le due Grotte degli Archi (SiCT005) e (SiCT051), sia un elenco di sessantotto nomi di grotte successivamente pubblicate in Poli (1959a).

Gustavo Cumin (1954) fa menzione della Grotta del Rognone (SiCT018) e della Grotta degli Archi (SiCT051†) distrutta da recenti colate.

A Salvatore Cucuzza Silvestri (1957) dobbiamo lo studio e l'accurata descrizione di una interessante cavità formatasi nellapparato eruttivo del 1819 in Valle del Bove (SiCT052).

Emilia Poli (1959a e 1959b) descrive quattordici grotte etnee fra le quali la Grotta delle Serpa (SiCT036†) la Grotta dei Tre (SiCT053†) coperte da colate laviche recenti, nonchè la Grotta dei Ladri (SiCT117).

Saro Franco (1970) ha raccolto nel museo di Adrano importanti reperti archeologici provenienti da numerose grotte del versante ovest dell'Etna.

Mariano Foti (1971) raccoglie interessanti notizie storiche-folkloristiche sull'Antro di Santa Sofia che localizza nell'omonima collina a nord di Catania.


(1) - Neviere o riposti della neve erano detti, nella regione etnea, i luoghi in cui veniva conservata la neve durante l'inverno per farne commercio durante il periodo estivo. A tal uso erano adibite diverse grotte sull'Etna (Massa, 1708, cap. VII; Pistorio, 1969, pag. 125)